Umberto "Uccellino" Marconcini

Rione Venezia

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Uccellino” al secolo Umberto Marconcini.
Umberto Marconcini, classe 1932, si avvicina al mondo del remo grazie allo zio Filea, Bruno Barbieri, fratello di Attao. All’Unione Canottieri, quel giorno, non c’era il timoniere per il 2 yole di Ricciotti-Paggini (quelli dei magazzini dell’olio), così Umberto, di soli otto anni, sale per la prima volta, su una barca a remi. L’allenamento si faceva in mare lungo la costa livornese. A volte l’equipaggio si fermava ai Bagni dello Scoglio della Regina, costruito con cabine su palafitte, perché lì, Ricciotti e Paggini, avevano molti amici.

Umberto ricorda che gli uomini indossavano costumi interi di lanina a righe, tipo body e le signore indossavano costumi con magliettine, pantaloni al ginocchio e avevano ombrellini per proteggersi dal sole. Tutto questo fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Durante il primo bombardamento, le bombe colpirono l’Hotel Palazzo e i palazzi del viale Caprera. Umberto, con la famiglia , sfollò alla Palazzina (Malavolta) e lì assistette, di persona, al ritiro delle truppe tedesche e all’avanzata della Quinta Armata, perché nello stesso giorno si scontrò nel bosco, prima con i soldati tedeschi e poi con i soldati americani, e ricorda che uno di loro gli regalò un cubo di cioccolata, che lui fino a quel momento, non aveva mai visto e tanto meno assaggiata.

Finita la guerra, non potendo tornare a Livorno, perché “zona nera“, Umberto abitò per un po’ di tempo all’Ardenza e qui conobbe il dottor Belais. Questo signore aveva due sorelle , una delle quali era la famosa Minnie (cosi soprannominata), campionessa di nuoto della stessa squadra azzurra di Pedersoli, ovvero l’attore Bud Spencer. Minnie , tutte le mattine alle cinque, quando il mare lo permetteva, bussava alla parete della camera di Umberto (le camere erano attigue) e insieme andavano a nuotare nello specchio di mare davanti ai Bagni Pejani, fino ad un relitto di nave andata a fondo a largo.

Nel 1945 Umberto era già in Porto. A soli tredici anni era sui “recuperi“, addetto alle pompe, cioè doveva girare la ruota finchè l’aria andasse al palombaro, che doveva recuperare i relitti delle navi affondate. A quei tempi il porto era libero, cioè si poteva andare a lavorare dappertutto a “lungo numero“: si chiamava la gente finché c’era lavoro, venivano anche dal Gabbro. Nel 1947 ,Umberto cominciò a rispondere “quasi in Rubia” perché non aveva ancora diciotto anni.

Ritorna alle pompe insieme al Cecconi palombaro, a Marino cognato di questo, che guidava il palombaro sul fondo e Umberto alla pompa. I tre amici liberano le navi ” il Cattaneo” e” il Securitas “. Nel 1948 la Compagnia Portuale lo mette sui “rimorchiatorini“, due vaporini chiamati lo Zambombo e il Risveglio, insieme al cugino Edoardo Savi, detto il Ciuo e al motorista Beppino Rossi. Umberto ricorda che sul Risveglio il comandante era lo”Zezze”.

Un giorno il Carlesi, nostromo dell’Ercolino, che guardava sempre Umberto vogare, quando con il palombaro rientrava, con la barca a remi, dai recuperi, all’altezza del Molo Novo, gli domandò: «Perchè non vai a vogare all’ Unione Canottieri?». Da quel giorno per Umberto iniziò l’attività remiera.

All’ U.C.L. c’era già un bell’otto. Il terzo otto assemblato a Livorno, dopo quello degli Scarronzoni prima della guerra e, quello nuovo dopo la guerra. L’equipaggio del terzo otto era così formato: Cecchi Renato, Armandino Savi, Nino Balleri, Fiorini, Palmerini, Magherini, Basoni, Unico Marconcini, Canzio Vivaldi ( Pecchio) e timoniere Langella detto Ghighe. L’allenatore dell’otto era Dante Secchi, il quale prese l’abitudine di portare con se Umberto e, se mancava un’atleta, al posto di questo faceva salire in barca lui.

Nel 1948 dirigente dell’U.C.L. era Ottorino Quaglierini e l’otto jole vinse il Campionato Italiano a Santa Margherita Ligure. Umberto nel 1950, a soli 18 anni, entra effettivamente a far parte dell’otto fuori scalmo dell’Unione Canottieri, con lui a bordo l’otto era junior, con Pecchio era senior. A Pallanza perdono il titolo italiano, dopo aver condotto quasi tutta la gara in testa, perché il carrello di Unico uscì dalle guide e il titolo fu vinto dalla Bucintoro di Venezia.

Il nome “Uccellino” è venuto fuori da un giornalista a Pallanza, che avendo visto che Umberto era il più basso dell’equipaggio, gli dette questo simpatico soprannome. Ritornato a Livorno sale sul gozzo del Venezia per partecipare al primo Palio Marinaro dopo la seconda Guerra Mondiale. Prima di tante vittorie, Umberto ricorda che l’equipaggio era così formato: Angiocche, Pecchio, Uccellino, Armandino, Peppone, Manganello, il Ciuo, Chimenti, Danilo, Ivano Salvadori, al timone Scirocchino. 1951 Palio, vittoria del Venezia 1952 Palio, vittoria del Venezia 1954 Il Venezia perde il Palio con l’Antignano al foto finish. 1955 A Sorrento, l’otto dei livornesi arriva secondo sempre al foto finish. A Livorno il Palio è vinto dall’Ardenza.

Umberto racconta che dopo il Palio, il gozzo del Venezia, fu messo a banchina dove ora c’è la cantina del Montenero. Siccome si avvicinava ” la gara dei porti“, Umberto decise di formare da se il gozzo del Venezia, che ormai non vinceva più. Prese delle persone del rione in qua e la: che sapevano vogare e no, erano più di dieci. Uccellino li provò tutti ed infine formò , in meno di un mese, l’equipaggio che vinse tutto alla gara dei porti.

Per la storia questa gara si sviluppava in batterie e i primi quattro equipaggi si sfidano nella finale. Accadde così che il Venezia, primo alla grande in batteria, lasciò di stucco gli altri equipaggi e l’Ardenza si presentò con un equipaggio misto (metà era del Borgo) contro il regolamento e fu squalificata. Nel 1957, sempre a Sorrento, ai Campionati Italiani, l’otto dell’U.C.L arriva secondo al foto finish. Umberto torna a Livorno e quando va in Venezia vede il gozzo legato, di nuovo, a banchina. La cantina del Venezia, questa volta, era sotto il ” Bar Sport” di Mirella.

Umberto prese una ventina di ragazzi, li portò con se al Braccio del Vestrini con il gozzo, fece delle prove e disse: «Te, te, te… (fino a dieci), da domani venite qui. Gli altri a casa!». Poi un ragazzo domando: «Umberto, ma te vieni al timone, vero?». E fu cosi che per Umberto iniziò l‘attività di timoniere. I veneziani pensarono che Uccellino avesse perso il cervello, ma lui formò il nuovo equipaggio del Venezia. La mattina passava dal mercato e si faceva regalare i “capi rotti”, mele ed altro, poi portava tutto in barca, perché sapeva che l’allenamento che i ragazzi dovevano fare era duro.

Tutte le sere al timone c’era lui, perché erano senza timoniere. Parteciparono al Palio con al timone Marino Carnevali (grandissimo timoniere). Marino quando li vide, ridendo, disse che sembravano usciti da un lager, da quanto erano secchi e, da li il nome di “gozzo dell’eca“. Il nuovo Venezia stravinse, ma i giudici non convinti gli fecero ripetere la gara il giorno dopo, ma anche quella volta vinsero alla grande. Nel 1958, lo stesso equipaggio vinse “la gara dei porti” ma siccome dai gozzi degli altri rioni furono tirate le zeppe, la gara fu annullata.

Nel 1959, Umberto vince con l’otto dell’U.C.L., allenato da Unico, il suo primo Titolo Italiano, a Bufalotti a Pisa. Il Venezia continuava a vincere le gare, alternandosi con il suo avversario di sempre: il Borgo e, fu cosi che si arriva intorno agli anni ’70. Era una mattina come le altre e nella cantina di Primino (Fastame), sugli scali dell’Ancore, a chiacchierare del più e del meno erano riuniti, insieme a Uccellino, Cesare Bracci, Cucchi, Pecchio e Nedo Arrigoni. Uccellino, guardando al di la del fosso, disse a Pecchio: «Te lo immagini se laggiù ci si potesse costruire un capannone per il Venezia?».

La mattina dopo Canzio e Primino andarono in comune per sentire se c’era la possibilità di avere quel terreno per appoggiarci un capannone in acciaio smontabile. Il terreno, era padronale staniera tedesca ed era vicino al Poggiali, dove veniva lavorato il vegetale e le coccole. E così avvenne. Il capannone costò £1.400.000. Vennero fatti degli effettini di £100.000 e, il primo fu pagato da Ughino Chiesa. All’inagurazione c’erano tutti. Poi Canzio e Alfredino Catanzano andarono a Donoratico per comprare delle barche di canottaggio: 4 barchini e 1 jole.

Umberto così diventò anche allenatore di canottaggio per il Circolo Ricreativo Portuale. Oltre alla nuova sede del Venezia , a Umberto venne un’altra brillante idea: socio del Circolo era il dottor Franco De Rango , il quale, per tenersi in forma, usciva sul doppio jole con Umberto e, siccome camminavano piuttosto forte, decisero di partecipare ai Mondiali Master di Mosca come atleti del club C.P.L. e il cantiere di Donoratico gli costrui un doppio.

Fu durante gli allenamenti, che fu partorita l’idea di formare un Centro Cardiologico Sportivo per la medicina preventiva per tutti. Si iniziò con un ambulatorio dentro il Circolo del Venezia, dove il dottor De Rango, visitava gli atleti grazie ad un oscillometro regalato dalla Compagnia Portuale. Uccellino faceva da assistente e da infermiere. Nel frattempo fu fatta alla regione la richiesta di medicina cardiologica sportiva, che fu caldeggiata dal console Piccini e dal viceconsole Nosilia. La risposta della regione fu negativa e il progetto non decollò.

Il dottor De Rango seguiva gli atleti del canottaggio livornese ed è così che si scontrò con il dottor Dal Monte della Medicina Sportiva CONI. Le loro idee erano diametralmente opposte, ma i pessimi risultati delle Olimpiadi di Montreal, dettero ragione al dottor De Rango. Umberto, come allenatore di canottaggio, ha avuto grandi soddisfazioni. Con i ragazzi: Wladimiro Mannocci, Piero Constanzo, Fabrizio Mondolfi, Sirio Sostegni, Marino Suncini, Vito Palazzolo, Marino Vivaldi, Stefano Lari, Fausto Mazzoni, Burbon, Fratelli Diversi, Umberto vinse ben 5 Titoli Italiani (ragazzi e junior), tante gare nazionali e regionali e Mondolfi partecipò ai Mondiali junior a Montreal.

Umberto cessò l’attività di allenatore di canottaggio nel 1980 perché sentiva che diventava troppo faticoso allenare sia per il canottaggio che per il Venezia, che naturalmente continuava a vincere. I ragazzi, sopra nominati, presero posto nelle file degli atleti del palio , rinforzando così i rioni dei quali fecero parte. Nel 1981, dopo la gara dei ‘Risiatori, Umbero si vide costretto dalla dirigenza a lasciare la sua amata Venezia, qualcuno di troppo dalla lingua lunga, riuscì a fare quello che mai nessuno si sarebbe aspettato di fare. Alessandro, il figlio di Umberto, che vogava nell’Ovo Sodo, non aspettava altro.

Portò babbo nella cantina del Benci Centro e da quel momento, anzi dopo aver perso il gozzo al Palio di quello stesso anno, per l’Ovo iniziò una carriera di trionfi: è loro il primo Tris di vittorie e il record sui 2000 metri del Palio del tempo di 10’04”. Dopo il Benci Centro, Umberto fu chiamato dalla Sezione Montenero, dove gli fece vincere la sua prima e unica vittoria nella Barontini. Umberto continua ancora a dare tanti buoni e utili consigli, specialmente ai nipoti.

«Una cosa è certa – dice Uccellino – gli allenatori di oggi sapranno fare i programmi , ma sono ciechi nell’insegnare la tecnica, non hanno l’occhio fino. Il canottaggio non si fa sul remoergometro, non si può scegliere l’atleta solo perchè fa un buon tempo, bisogna tenere conto dei valori di ciascuno, considerando l’altezza e il peso del ragazzo. La tecnica di voga non si insegna sul remoergometro, ma in vasca. Non è detto che se uno è forte sul remoergometro sia anche un buon vogatore. Questa macchina deve solo servire per allenarsi quando piove e se proprio uno (allenatore) non ci capisce tanto di voga, allora farà quei test federali tanto per vedere se l’atleta è allenato o no. Con questo concludo dicendo che per me la voga è stata e sarà solo una grande passione.

Questo articolo è stato scritto dalla Sig.ra Cinzia Marconcini

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