Disma Mille Egle "Calcuttino" Magagnini

Rione Venezia

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Venezia

Viene soprannominato “Calcuttino” perché nero di pelle come un indiano di Calcutta. Ha sei figli: Ennio del 1927, Lina, Brenno, Giancarlo (che partecipa alla scia nel 1967) Viviano e Ivo. Pare debba la seconda parte del suo nome ai due ladroni che accompagnarono Gesù nella Crocifissione sul Calvario. Lavora nella compagnia di facchinaggio Regio come il padre e il fratello più anziano di lui. Timoniere del Caprera e poi del Venezia- San Giovanni, ma anche della Portuale, del Mercato, del Salviano, di Fiorentina, San Jacopo, Venezia, Colline e persino dell’Accademia.

Nel 1936 viene chiamato a far parte della squadra azzurra di canottaggio che si reca alle Olimpiadi di Berlino, quelle in cui Hitler fu costretto ad allontanarsi dal palco più volte per non dover premiare Jesse Owens, il mitico atleta USA, pluridecorato in diverse specialità atletiche. E a Berlino Disma venne solennemente ripreso dalla polizia locale per aver gettato a terra, invece che nelle apposite canalette ai lati della strada, lo scorcio (mozzicone) del suo sigaro.

La sua carriera si svolse nell’arco di ben 36 anni durante i quali vinse cinque edizioni del Palio (quella del 1961 venne però annullata). Esordisce con il “Bocaletto” della Caprera il 12 luglio 1931 nelle regate intersezionali ai Pancaldi arrivando secondo dietro l’UCL, nella Coppa Comitato Estate Livornese per iole a quattro di punta. Fino al 1934 il suo nome non compare nelle cronache per cui si può pensare che si sia dedicato ad un’attività di minor livello.

Comunque, nel maggio del 1934, eccolo a Firenze dove vince la Coppa Federazione Fascista del Commercio per iole di mare a quattro vogatori di punta con timoniere. Il 20 luglio a Castelgandolfo, ai campionati italiani nel quattro di iole juniores, il Dopolavoro Portuale, dopo aver dominato la propria batteria, finisce secondo dietro la Bucinotto della Querini di Venezia.

Nel Palio, Disma alla guida del Venezia, è secondo dietro al Borgo. Nel 1935 ecco l’agognato trionfo davanti all’invincibile Agide. Disma è alla guida del Venezia-San Giovanni, la barca dei due quartieri che hanno unito le loro forze, per contrastare lo stradominio del Borgo. In realtà il quartiere di San Giovanni, sventrato per fare posto a nuove costruzioni, è stato completamente demolito e i suoi abitanti sono finiti per la maggior parte nel contiguo Rione di Venezia.

Sul gozzo denominato “Vincenzo Malenchini”, dal nome del livornese che fece parte della spedizione di Garibaldi, Disma e compagni si impongono sul Borgo. Dietro San Jacopo (terzo), il San Marco, l’Ardenza e l’Antignano. L’anno dopo Disma vorrebbe ripetere l’impresa insieme ai suoi “diavoli scarlatti” come li chiamò allora il giornalista Beppe Pegolotti, ma è costretto a pagare il conto ad Agide Carnevali e ai suoi che hanno il dente avvelenato. E al secondo posto riesce a piazzarsi il San Jacopo di Giovanni Baccicalupo.

Malgrado l’insuccesso viene chiamato a far parte della rappresentativa azzurra di canottaggio per le Olimpiadi di Berlino. Il tecnico è un livornese, Mario Ghiozzi, e ritiene che Disma possa costituire, in caso di necessità, una valida alternativa a Milano. Nel 1937 al Palio per Disma e il Venezia; condizionata anche dalla corsia d’acqua peggiore la barca delle furie rosse (timoniere Disma) finisce solo al quarto posto dietro al Borgo, San Jacopo e Ardenza.

Nel 1938 nuova delusione: terzo posto. Nel 1939 oltre a dedicarsi al corso per diventare istruttore Federale di Canottaggio, torna agli antichi amori. Abbandonato il Palio partecipa alla riunione prepalio su una iole a quattro dell’Accademia Navale classificandosi però solo terzo. Ormai è tempo di guerra: siamo nel 1940 e Disma per evitare di partire militare sfrutta le sue conoscenze nell’ambito del canottaggio e riesce a farsi assegnare all’UMPA, la difesa di protezione antiaerea.

Una difesa che non aveva alcun mezzo per evitare che il 10 luglio, lo stesso giorno in cui Mussolini comunicò da Palazzo Venezia che l’Italia entrava i guerra, a fianco dell’alleato germanico, un aereo solitario inglese proveniente dalla Corsica, sganciasse tre bombe: una colpì l’Hotel Palazzo, una cadde in Venezia e la terza alla Stazione. Sfollato nel 1943 nell’empolese, Disma evita di tornare a Livorno, fino a guerra conclusa, per evitare qualsiasi tipo di problema.

Poi riprende il suo lavoro e, nel 1951, l’anno della ripresa del Palio, lo troviamo di nuovo al timone del suo amato Venezia, ma non gli danno il gozzo a dieci remi bensì quello a quattro. Magagnini deve però arrendersi al Borgo mentre nei dieci remi è il Venezia a vincere il primo Palio del dopoguerra con Bruno Brucioni al timone. «Mio padre purtroppo – ha confessato Ennio Magagnini – era di quelli a cui piaceva mangiare e bere e non erano rare le volte che se ne andava in fiaschetteria con gli amici a spendere quattrini anche se a casa mancava il pane».

Nel 1952 il San Jacopo gli offre il timone e Disma accetta convinto di poter dimostrare ancora una volta le sue capacità e il suo valore. Ma i favoriti sono il Venezia e il Mercato che si affida a Elio Langella, timoniere titolare dell’Unione Canottieri offrendogli 45 mila lire che per quei tempi era l’equivalente di tre stipendi. Langella chiede il consenso a Cesarino Milani, allenatore dell’Unione, lo ottiene e riesce ad arrivare secondo a soli quattro secondi dal Venezia di Bruno Brucioni.

Al suo rientro in sede la sorpresa: Milani gli comunica di volerlo sostituire per i Campionati Italiani, con Disma Magagnini, che nel Palio ha ottenuto solo il quinto posto: «Pensai che fosse giusto – disse a suo tempo Langella – perché per un favore fatto, un altro ne rendevo. Solo che l’otto arrivò secondo ed allora addebitarono a me la sconfitta e mi cacciarono dall’Unione. L’anno dopo Disma venne ingaggiato dal Mercato che voleva a tutti i costi interrompere la supremazia del Venezia. Ma i bianco-gialli si classificarono solamente quinti in una gara vinta dal Venezia di Scirocchino».

Bruciato come timoniere dopo due quinti posti? Praticamente si anche se il Venezia (che con Langella aveva ottenuto solo il secondo posto nel 1954, dietro al sorprendente Antignano di Marino Carnevali, e il terzo nel 1955 vinto dall’Ardenza davanti alla novità Colline di Ugo Gelli), si ricorda di lui e nel 1956 gli affida il gozzo a dieci. A vincere è ancora l’Ardenza, con al timone Manlio Livori, davanti a Colline e Borgo. Il Venezia è solo quarto. Resta nel Venezia, ma lo relegano a timoniere di riserva proprio in quel 1957 in cui il Venezia vince mettendo al timone il figlio di Agide, Marino Carnevali, che farà il bis l’anno seguente.

Per Calcuttino i Carnevali sono proprio una maledizione. Tre anni di fermo e poi, nel 1961, a chiamarlo al timone del quattro è il Colline e Disma dimostra che la classe c’è ancora, vincendo la seconda eliminatoria. Peccato che nel girare la boa, sbagli corsia, finendo in quella del San Jacopo. La giuria annulla la gara e decide di promuovere il Sorgenti che aveva vinto l’altra batteria. Nel 1963 (dopo l’anno di sosta forzata) Disma viene messo di riserva e la barca del Colline viene affidata a Umberto Ceccarelli, ma è solo un secondo posto. Ad essere promosso è il San Jacopo.

Nel 1964, a 59 anni suonati, Disma si prende finalmente la rivincita e porta la barca del Colline a conquistare i gozzo a dieci. La sua speranza è quella di mettersi al timone del dieci, ma l’anno dopo il Palio non viene disputato e nel 1966 in Colline gli preferiscono un altro, tanto che accetta di guidare il quattro del Salviano. Poi però i bianco-celesti lo richiamano ed è lui a portare la barca al quinto posto (e quindi alla salvezza) nel Palio vinto dal Pontino di Elio Langella davanti al Venezia di Amleto Natali. Disma conclude la sua avventura sul mare nel 1967 a 62 anni: a volerlo al timone è Fiorentina ma Disma deve accontentarsi di un secondo posto dietro al Torretta di Aldo Sherri. Vivrà per altri cinque anni.

Articolo di Alberto Gavazzeni 2004

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