Arturo Mannucchi

Rione Borgo

Rioni

Borgo Cappuccini

Una stirpe radicata nel territorio di Borgo Cappuccini

 

La stirpe dei Mannucchi è ben radicata in Borgo Cappuccini al pari dei Perullo, Malacarne, Braccini, Carnevali e molte altre ancora. Sappiamo, ad esempio, che Fortunato Mannucchi, per gli amici del rione detto Nato, corse nel 1938 sul Capitan Launaro condotto dal grande Agide Carnevali e vinse quel Palio lasciandosi dietro, in ordine, San Jacopo e Ardenza. Suo fratello Arturo fu, nel dopoguerra, niente popò di meno che il primo presidente della Sezione Nautica Borgo Cappuccini. Prese in mano le redini che furono di quel Rag. Pitto, il primo presidente dei bianconeri dal 1927 al 1939 il quale raccolse ben dieci vittorie e la prima Coppa Risi’atori (un testa a testa tra il Borgo e il San Giovanni con partenza dalla Meloria e arrivo allo Scalo Regio nella vecchia Darsena).

Mannucchi, dicevamo,  amante dello sport in genere, non a caso praticò il pugilato, amò il suo rione come nessun altro. Fu lui a scoprire il giovane Paolo Cantini che volle con sé nella dirigenza come amministratore. Paolo diverrà, poi, il pluridecorato presidentissimo del Borgo e fu uno dei fondatori della Coppa Ris’iatori che si corse la prima volta nel 1978. “Ma il Mannucchi non fu solo il presidente del Borgo – mi racconta Paolo Cantini – fu anche presidente dell’Associazione Azzurri d’Italia dopoché passò lo scettro a Oreste Grossi uno dei mitici Scarronzoni. Fu una persona battagliera – continua Cantini – specialmente alle riunioni delle consulte e dei presidenti che in quegli anni erano molto animate. Mi rammento che nel 1960, quando il Borgo vinse il suo primo Palio del dopoguerra, si infortunò un vogatore alcuni giorni prima della gara e lui, il dottor Romano e Tito Neri fecero carte false per far venire Mauro Leonardini, che era militare ma praticava il canottaggio, se non vado errato, a Sabaudia. Questa la dice lunga come tenevamo a vincere il primo Palio”.

Il nipote dei fratelli Mannucchi, Gianluca, ha scritto una cosa bellissima descrivendoci l’atmosfera che si respirava in Borgo poco prima del Palio. La riportiamo testualmente.
“Mio nonno, Fortunato Mannucchi, detto Nato ci ha trasmesso, a me e a mio fratello Gianni, la passione per il Palio e per il Borgo in particolare. Da piccini cominciavamo a parlare del Palio appena finiva il campionato del Livorno, a maggio. Tutto giugno aspettavamo a gloria la domenica dei gozzi. E quando arrivava non stavamo nella pelle dall’eccitazione. Nonna Piera ci cuciva dei pezzi di stoffa bianchi e neri che noi fissavamo a dei tronchi di canna di bambù, fino a farne delle vere e proprie bandiere che portavamo con noi nei giorni precedenti il Palio. Poi alla domenica della gara giravamo per il quartiere con le finestre tutte imbandierate. Negli occhi dei rionali vedevi la frenesia, l’attesa, la voglia di vincere. Da casa dei miei nonni (che abitavano in Borgo Cappuccini, intesa come strada oltre che come rione), proprio sopra l’arco da cui ci si immette in via degli Archi, ci spostavamo, accompagnati da nostro padre, ovviamente borghigiano sfegatato pure lui, verso la cantina. Traversavamo Corso Mazzini, proseguendo sull’altro ramo di Borgo Cappuccini. Spesso passavamo da via San Carlo, via degli Asili, tutte stradine dove pulsava forte il cuore bianconero.

La zona della cantina era viva e festante. Io incontravo sempre mio cugino Leonardo Turchi, al quale suo nonno Arturo Mannucchi, primo Presidente di Cantina bianconero del dopoguerra, aveva trasmesso la stessa passione per il nostro gozzo. Con Leonardo facevamo tutto insieme da piccini, insieme all’altro nostro cugino Alessandro. S’andava a vedere il Livorno, si giocava a pallone insieme, ovviamente nei pulcini del Borgo. Poi tutti i rionali cominciavano a spostarsi verso la terrazza Mascagni per vedere la regata. Io e i miei entravamo ai Pancaldi (dove andavamo al mare) e ci posizionavamo sulla “punta”, un luogo da dove si vedeva benissimo quello che allora era l’unico giro di boa. Noi i gozzi li vedevamo solo quando transitavano vicini ma il nostro babbo, con il suo “cannocchiale” ci teneva aggiornati. Nelle volte che contavamo per vincere era tutto fremente per poi finire o esaltato per la vittoria o deluso, ma sempre esagitato per la sconfitta all’ultima palata. Nelle occasioni che invece la nostra barca non contava, si girava verso di noi scuotendo la testa e ripetendo ‘Quest’anno non ce n’è pane secco…’.

Poi il foltissimo pubblico sciamava, tra la gioia e i cortei dei vincitori e la delusione degli sconfitti, a parte qualche tifoso che magari, avendo ambizioni diverse, giustamente festeggiava un buon piazzamento o anche solo l’aver salvato il gozzo. Se si vinceva s’andava a fare il corteo per la città. Se perdevamo stavamo in ansia perché sapevamo che ci attendeva una serata di sberleffi, quando il corteo dei vincitori sarebbe passato per Borgo. Perché comunque, in quegli anni, se non vincevamo noi, vuol dire che avrebbe vinto uno tra il Venezia, il Pontino o l’Ardenza. A quei tempi non c’era nessun altro armo che poteva aggiudicarsi il palio. E tutti e tre erano i nostri rivali. L’Ardenza non ha avuto periodi d’oro lunghi e reiterati come gli altri tre rioni, ma a cavallo tra gli anni 70 e 80 aveva un equipaggio da paura, uno dei più forti mai visti. Per anni il duello è stato con loro, Il Venezia ovviamente era il nostro rivale storico e la storia degli sfottò si perde nelle notti dei tempi.

Il Pontino però era il rione che più mi destava sensazioni strane. Lo odiavo, ma sotto sotto lo ammiravo. Quando andavamo là da loro a vedere la Barontini, quello “scalo” completamente imbandierato, con le finestre strabordanti di gente affacciata che incitava i loro vogatori, quella marea giallorossa e quell’aria livornese della domenica al tramonto mi mettevano soggezione. Quando lo speaker fermava per qualche secondo la sua voce per annunciare il tempo del gozzo giallorosso tutta la muraglia umana, qualsiasi fosse il rione tifato, ammutoliva; dal tempo annunciato da quel microfono gracchiante (anche se non era l’ultimo a essere partito), si capiva tutto; per vincere la Barontini dovevi battere il Pontino e quella marea umana, prima di ogni altra cosa. Ricordi indelebili, di un Palio vissuto con il cuore in gola. Oggi è tutto diverso, ma sarebbe ingiusto dire che è meno bello. È di certo meno seguito ma forse dovremmo tutti capire perché e provare a fare qualcosa”.

Nella foto pubblicata, il Mannucchi è quello in basso con la maglia scura.

Articolo di Carlo Braccini – ottobre 2020

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