Tito Neri
Di Costante e Francesca Palandri. Nato a Livorno il 28 giugno 1988 e morto a Pavia il 27 febbraio 1973. Si racconta che già all’età di sei anni raccogliesse e raddrizzasse i chiodi dell’azienda paterna. Adolescente ebbe la corba per scaricare il carbone e iniziò così a condividere gioie e fatiche con la gente di mare. Ben presto lo prese la passione per il canottaggio a sedile fisso.
Il 31 agosto 1924, davanti ai Pancaldi, fu il timoniere della barca a dieci remi “Alberto Cerrai” che si classificò seconda dietro a “Emanuele Chiesa” di cui fu timoniere Nullo Chiesa. Questo l’equipaggio dell’Alberto Cerrai: Timoniere Tito Neri, A. Cerrai, Pietro Boni, Vasco Scotto, Gino Malacarne, Otello Baccicalupo, Fabio Baccicalupo, A. Raffoni, Emilio Consigli, Ugo Ferri, Ugo Temperanza, F. Conti. Da ricordare che quasi tutti i componenti di questo equipaggio, fecero parte del famigerato “Norge” del Rione Avvalorati che si aggiudicò il primo Palio ufficiale che si corse nel 1926.
Nel 1925 entra nell’azienda familiare e un anno dopo mostra il suo coraggio salvando una nave incendiatasi in porto e abbandonata dall’equipaggio e dal capitano. Sale, sparisce fra le lingue di fuoco lasciando in apprensione chi lo osserva dalle banchine. Poi lo si vede apparire sul lato non ancora preso dalle fiamme e dar voce ai suoi migliori collaboratori. I risicatori più addestrati per quelle drammatiche circostanze. Grazie alle sue idee l’impresa Fratelli Neri si dota di una flottiglia di vaporetti, rimorchiatori e pontoni colossali ( Sansone, Ercole, Golia ecc…) fra cui l’Italia Nuova, tutta in legno, che aveva come comandante Antonio D’Alesio. Con lui, Alberto Cellai, Salvatore Danese, a volte Romualdo Mataresi, interveniva spesso sia alla Meloria che sulle secche sei miglia fuori Vada per disincagliare le navi finite sugli scogli o arenatesi.
Lungo la costa pare avesse un accurato servizio di informazioni che gli segnalava quando una nave era in difficoltà. Inoltre le malelingue, ma potrebbe esserci qualche cosa di vero, dicono che prima facevano in modo che la nave non potesse più liberarsi con i propri mezzi e poi alzavano il prezzo del salvataggio. Lo Stato è ricorso più volte alla sua abilità per costruire porti, dighe e navigli di varia specializzazione. Mecenate rispondeva alle richieste d’aiuto con immediata e generosa sensibilità. Dallo Stato ebbe l’onorificenza di Cavaliere del lavora, ma per la gente del suo mare lui era un risicatore ed era il titolo più ambito.
Articolo di Alberto Gavazzeni 2001