Antonio "Tonino" Perullo

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L’Indiana Jones dei mari

Avrebbero potuto tranquillamente soprannominarlo l’Indiana Jones dei mari, ma Antonio Perullo, detto Tonino, pur avendo scelto un mestiere pericoloso come quello del palombaro, i rischi li correva più che altro per riuscire a portare a casa, alla moglie e ai figli, quel che serviva per campare. Nato il 9 settembre del 1925, viene considerato a ragione, insieme a Paolo Cantini e a Tullio Malacarne, (il primo è l’attuale presidente del Borgo Cappuccini, il secondo è il padre di Ferdinando, vice presidente del Rione) uno dei padri fondatori della Risi’atori moderna la cui prima edizione si è svolta nel 1978.

La passione arriva presto per Tonino e già a 17 anni va per mare, ma siamo in tempo di guerra e c’è poco da stare allegri. Alla fine del conflitto si rende conto che con i relitti delle navi c’è da guadagnare bene e diventa palombaro; davanti a Livorno e lungo tutto il litorale fino all’Elba le carcasse sui fondali sono numerose e il recupero delle lamiere rende bene grazie ad un mercato che ha esaurito le materie prime durante il conflitto bellico. Poi, ogni tanto, al giovane palombaro le cose vanno bene visto che oltre alle lamiere si può recuperare anche materiale più pregiato.

Fra un recupero e l’altro si lascia tentare dalla sua passione e voga nel dieci del Borgo. Nel 1953 è secondo sul gozzo bianco-nero timonato da quell’Arduino Franchini che, con l’Accademia Navale, aveva vinto entrambi i palii della guerra mentre l’anno seguente i bianco-neri, capitanati da Fiore Carnevali, uno dei figli del vecchio Agide, l’uomo delle dieci stelle, non riescono a mantenere le promesse della vigilia (il pronostico li vedeva antagonisti del Venezia che venne a sua volta beffato dall’Antignano, guidato da un altro Carnevali, Marino) e finiscono ultimi. Ma Tonino ha altri pensieri: i relitti di navi vanno diminuendo. Dopo aver lavorato sia in proprio che per la ditta Fratelli Neri si vede offrire un lavoro importante in Sud Africa. C’è da fare la diga di Kariba sul fiume Zambesi, in Rhodesia e serve un fegataccio che sappia fare il palombaro. La paga è buona e Tonino non se lo fa dire due volte; laggiù ci sono da costruire, sul fondo di un fiume infestato dai coccodrilli, i cassoni per colare il cemento delle fondamenta.

Siamo alla fine del 1954. Incurante del pericolo Tonino, prima di immergersi, fa lanciare qualche candelotto di dinamite in acqua affinché i coccodrilli restino lontani. Insomma un mestiere a rischio, ma ben remunerato tanto che il palombaro livornese scrive alla famiglia (il primogenito Luciano ha già 5 anni mentre il secondo, Franco, solo due) invitandoli a partire tutti alla volta dell’Africa. «Avevamo già le valige in mano – dice Luciano – quando su mio padre si abbatté una tegola decisamente non prevista: venne accusato di omicidio». Uno degli operai neri del cantiere, nel saltare dalla riva al barcone, perse l’equilibrio e cadde nelle acque dello Zambesi. Il corpo dello sventurato non fu mai più ritrovato. «A quel tempo – continua Luciano – l’apartheid e l’odio fra i bianchi e neri erano una cosa seria e gli altri operai neri accusarono mio padre di aver dato una spinta all’uomo sparito nelle acque fangose dello Zambesi. Da qui l’accusa di omicidio che però non resse a lungo visto che, in tribunale, apparve chiaro ai giudici che mio padre, al momento del fatto indossava il pesante e ingombrante scafandro del palombaro, non avrebbe materialmente potuto compiere il gesto di cui l’accusavano. Poi l’assoluzione con formula piena, ma anche la decisione di rientrare immediatamente in Italia».

L’avventura in Africa è durata circa un anno. La passione per il remo aveva però continuato a coltivarla anche in Africa e appena tornato a casa torna a vogare nel Borgo, di cui oggi viene considerato una delle bandiere più significative, fino al 1960. Poi preferisce dedicarsi ad un progetto che aveva in mente da tempo: quello di ridare una sede definitiva alla sezione nautica che andava peregrinando di cantina in cantina grazie all’ospitalità, di volta in volta, dell’Unione Canottieri o di cantine private. Insieme all’inseparabile Tullio Malacarne e ai vari amici che condividono il suo amore per le gare remiere, coinvolge la famiglia Neri. Questo permette al gruppo dirigente di Borgo Cappuccini di allestire una sede fissa sugli Scali Novi Lena ridando lustro al Rione e creando non pochi entusiasmi.

Tonino Perullo, diventato istruttore e timoniere, introduce nuovi metodi di allenamento. A quel tempo era difficile trovare dei buoni vogatori e l’unica soluzione era quella di prepararseli in casa e Tonino sembra avere il dono di tirare fuori tutto dai suoi ragazzi, anche dai meno dotati. Ma intanto non trascura il suo mestiere di palombaro e all’inizio degli anni ’70 riceve dal Presidente della Repubblica il premio “Avanti Tutta” per aver evitato l’esplosione di una gasiera in fiamme davanti a Livorno. Quando c’è da portare il cavo del rimorchiatore a bordo di quell’inferno galleggiante è lui ad offrirsi. Pochi mesi dopo, nel salone dell’Accademia, riceve la medaglia d’oro dal Ministro della Marina Mercantile.

Tornando alle gare remiere, il fatto che Tonino gli equipaggi se li facesse in casa è provato dal fatto che sul “Costante Neri” (a voler ricordare il fratello di Tito, che morì giovane dopo essere stato l’organizzatore delle gare remiere degli anni ’20, fu nel 1951 Tonino Chiesa, che avrebbe dovuto essere suo cognato. Prima della guerra il gozzo bianco-nero si chiamava “Capitan Launaro” nome voluto dal regime fascista per ricordare un ufficiale di Borgo morto all’interno di un sommergibile speronato da un mercantile durante una manovra militare) salirono entrambi i suoi figli, Luciano, del ’49 e Franco, del ’52 (è stato campione anche di canoa). Se aggiungiamo che anche quattro fratelli di Tonino (Damiano, Nunzio, Giuseppe e Romano) si sono cimentati sui remi ecco che appare chiaro quando il Palio, ma in generale tutte le gare remiere, devono alla famiglia Perullo.

Purtroppo ora, una delle dinastie del remo, sembra sul finire dato che l’unico maschio, il figlio di Franco, ha preferito il pallone. E che dai suoi vogatori Tonino, che viene ricordato per un carattere schietto che non esitava a dire la sua sua quando ve n’era la necessità, pretendesse tutto lo dimostra il fatto che, praticamente, impose al figlio Luciano prima di cambiare residenza (in vista delle nozze, aveva preso casa in San Jacopo ed era salito sulla barca di quel Rione vincendo nei quattro e poi sul gozzo bianco-verde a dieci) e poi il rientro a metà viaggio di nozze per allenarsi a dovere. «Si era nel 1975 ed eravamo a Tropea quando mi raggiunse la telefonata di mio padre. Fummo costretti – dice Luciano – a rinunciare alla gita a Capri che avevamo in programma come conclusione del viaggio di nozze. D’altronde il legame con mio padre – continua Luciano – era fortissimo e lo possono dimostrare due episodi di lavoro».

« Una volta a Larderello, scendemmo per 30 metri nel tunnel di un soffione boracifero e poi altri 20 in un tubo fino ad un pianerottolo. Qui vestii mio padre con il suo scafandro e poi lo vidi sparire in un altro sul fondo del quale doveva effettuare una saldatura. Non avevo la possibilità di restare in contatto visivo con lui. Furono due ore d’inferno e di paura. Ma la paura era un fattore costante. Ricordo quando venne chiamato per togliere un cavo d’acciaio dell’elica di un vapore panamense che si era bloccato in rada, davanti a Livorno. Per via del motore a turbina della nave non era possibile bloccarlo e così l’elica effettuava un giro ogni minuto e mezzo. Questo complicava maledettamente le cose e io che ero la sua guida, dovevo calcolare esattamente i tempi e segnalarglieli con un codice particolare, fatto di strattoni alla corda, per avvisarlo che l’elica stava per muoversi».

Infine, poco prima di smetterla con le gare rionali, il coronamento di un grande sogno a cui Tonino aveva lavorato a lungo come dimostrano le molte carte, i vecchi regolamenti e i tanti ritagli di giornale e foto che la vedova ancora conserva: nel 1978 riesce a dare gambe, ma soprattutto braccia, alla prima Coppa Tito Neri, quella Risi’atori che è entrata a tutti gli effetti nel trittico delle gare remiere livornesi che contano. Ai funerali di Tonino, nell’ottobre 1994, era presente tutta la città che ama il mare e il remo. Fu sepolto avvolto alla bandiera bianco-nera a dimostrazione di un amore verso il suo Borgo che non aveva limiti.

Articolo di Alberto Gavazzeni 2000

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