Padre Saglietto

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Venezia

Il padre spirituale dei veneziani

Padre Giovanni Battista Saglietto, Superiore del convento dei Trinitari, parrocco della chiesa di San Ferdinando, meglio conosciuta a Livorno come “Crocetta”. Autentico padre degli abitanti di un rione speciale. “La Venezia Nuova”, quest’uomo dall’indiscusso carisma e dalla fama di santo, condivise con i veneziani “suoi figli”, la ribellione agli orrori della vita, alla prepotenza del regime dittatoriale, alla miseria, agli abusi, allo scatenarsi di una guerra che avrebbe spazzato via il rione.

Quest’uomo, nato nel 1871 a Poggio di Porto Maurizio vicino La Spezia, giunse in Venezia inviato dal suo Ordine, all’età di 27 anni. In breve tempo, dopo un impatto assai movimentato con i “sovversivi” del quartiere – repubblicani, socialisti, anarchici, esisteva persino un’associazione chiamata la “Mano Nera”, gli scontri continuarono, anche con l’intervento della forza pubblica e le roventi prediche dal pulpito. Fu celebre la “guerra” per rimuovere la statua equestre di Anita Garibaldi (che oggi si dovrebbe trovare a Roma), posta dai veneziani proprio nella piazza antistante alla chiesa.

In breve tempo, però, questo frate asceta riuscì a comprendere il carattere impulsivo, ma quantomai generoso, dei parrocchiani, la loro sincerità senza mezzi termini, il ribellarsi alle pesanti ingiustizie dell’epoca. Fu quello il momento del sorgere di un legame che sarebbe rimasto indissolubile, tanto da permettere a chiunque di proclamare Frate Saglietto il vero padre dei veneziani e il loro difensore. Ebbe inizio un’attività che sarebbe durata per quasi cinquant’anni, fino a quando la sua cagionevole salute e l’orrore nel vedere il suo amato rione distrutto dalle bombe e la “sua gente” dispersa, non ne fiaccarono la forte fibra, conducendolo alla morte. Egli svolse la sua lunga attività di sacerdote, aiutando chiunque si rivolgeva a lui attirandosi l’affetto indissolubile di tutto il rione, credenti e non credenti.

Padre Saglietto, nel suo lungo apostolato, non avvicinò soltanto gli adulti, ma si circondò dei bimbi, dimostrando loro evangelico amore. Quando il mondo fu investito dalla tragedia della prima guerra mondiale a Livorno la presenza militare era rilevante, non solo per le caserme esistenti, ma per il continuo passaggio di truppe destinate al fronte. Questo era già accaduto ai tempi delle prime guerre coloniali dell’Italia e fu fenomeno continuo per le guerre che il fascismo dichiarò dagli anni ’30, fino alla sciagurata tragedia della seconda guerra mondiale. Dopo un periodo di permanenza nelle caserme, le reclute e i richiamati venivano avviati ai fronti di guerra, subito rimpiazzati da nuovi arrivati che si avvicendavano per i primi addestramenti.

Questa situazione carica di drammi personali, indusse padre Saglietto a dar vita a uno strumento che servisse a tutti quei giovani e meno giovani in divisa. Tenuti lontani dalle loro case, privati dagli affetti famigliari, molti avevano lasciato mogli e figli senza sostegno; essi avevano indubbiamente bisogno di sostegno morale e materiale. Nacque così la “Casa del Soldato”, che aprì le porte presso la chiesa di Crocetta il 6 giugno del 1915, grazie anche ai cospicui appoggi politici e finanziari concessi al religioso dalla Regina Margherita, di cui era confessore personale. In questo luogo i soldati si ritrovavano per trascorrere insieme il tempo, per giocare e anche per mangiare; un caposala consegnava loro fogli e buste per scrivere a casa, aiutati moralmente dai Trinitari con padre Saglietto in testa che in casi particolarmente difficili si impegnò anche a risolvere problemi di sostentamento delle lontane famiglie.

Nel corso di quell’opera benefica, la “Casa del Soldato” ebbe una biblioteca ed una scuola per analfabeti e semianalfabeti con la collaborazione dei militari insegnanti e delle crocerossine. Per i meriti acquisiti con questa iniziativa a padre Saglietto fu conferita la nomina di Cavaliere d’Italia, ma egli non era uomo che potesse vantarsi delle onorificenze e si dice che regalò il distintivo d’oro ad un soldato gravemente ammalato. Si seppe successivamente che il soldato venne trasportato a casa sua dove morì circondato dalla famiglia e dall’intero paese, dato che tutti credettero che questi si fosse davvero guadagnato la nomina di Cavaliere del Regno.

In questo periodo il sacerdote sfamò i veneziani, a volte lasciando somme di denaro alle famiglie più bisognose, permettendo a tante pentole di tornare sul fuoco, salvando dalla fame i più bisognosi. Padre Sagletto nel corso delle emergenze belliche, ma anche in occasione di epidemie, come quella del colera, aiutò senza discriminazioni chi aveva bisogno: i poco inclini alla religione, gli anarchici, i socialisti, i comunisti (la maggioranza della gente del quartiere) e fu questo che si guadagnò la stima e l’affetto del rione, perché nell’apostolato egli dimostrò di avere statura eccezionale.

Per evitare il ripetersi di terribili epidemie che mietevano numerose vittime, egli fece dar vita a una bonifica con l’interramento del fosso pestilenziale di Viale Caprera, cuore del rione. All’avvento del fascismo riuscì con coraggio ad impedire molte spedizioni punitive nel quartiere, offrì aiuto agli antifascisti picchiati e perseguitati dal regime, nascondendo nel grande convento i ricercati difendendo dall’imposizione della divisa di balilla anche i “suoi” bambini. Padre Saglietto rimase in Venezia per quasi cinquanta anni, poi fu costretto a trasferirsi nella Casa Generale del suo Ordine, a Roma, dove ricoprì importanti incarichi.

Memorabile il suo ritorno nell’immediato dopoguerra, dove venne accolto con incredibili manifestazioni di affetto dai veneziani rimasti nel rione semidistrutto e da quelli che si erano dispersi per tutta la città. Padre Saglietto si spense a Roma il 22 maggio 1957, e su espressa volontà dei suoi veneziani, le sue spoglie vennero trasportate a Livorno, dove si svolsero imponenti funerali, ai quali non parteciparono soltanto i veneziani, ma l’intero popolo livornese: portuali comunisti, Vasco Jacoponi (fondatore della Compagnia Portuali), tutte le autorità politiche e una folla di popolani.

Articolo tratto dal Libro “La Ciucia per tutti Bruna per noi” di Tiziana Savi

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