Aldo Sgherri

Rione Labrone

Rioni

Corea - Fiorentina - Shangai - Torretta

Tra i vari personaggi di spicco, che entrarono a far parte della storia del palio marinaro, ed ora dimenticati, non si poteva ricordare una carismatica figura, che specialmente a questo rione ha dato molto, il suo nome: Aldo Sgherri,persona che negli anni ’50/’60, oltre a dare vita alla sezione nautica Torretta (è stato uno dei fondatori), contribuì alle vincite ed alle salvezze dei gozzi a 4 remi ed a 10 remi , il Torretta dovette subire la fusione con lo Shangay nei primi anni ’70, con non poche problematiche situazioni.

Aldo Sgherri, classe 1929, esattamente il 27 marzo , oggi pensionato delle ferrovie dello stato, era capo tecnico sopraintendente, nella sua vita, a parte la voga, non ha provato altri sport anche se è un amante del calcio e precisamente del Livorno, segue la squadra tutt’ora, andando regolarmente allo stadio, insieme all’amico di sempre Lido Bais.

A 18 anni inizia a vogare nel gruppo dei ferrovieri ma pur allenandosi con passione, le sue capacità erano limitate perciò non potendo fare gare cessò. Negli anni ’50, gli svaghi erano pochi così, con amici coetanei o anche più anziani, dopo riunioni e discussioni, riuscirono a realizzare i sogni di tanti concittadini rionali dando origine alla sezione nautica. Torretta all’epoca era un rione molto popolato, Stringi Stringi con il suo mega palazzo prima costruito per alloggiare i maestri vetrai, provenienti dalla Prussia, in esguito di propità I.A.C.P. (istit. Case Popolari ) veniva abitato da circa 90 famiglie, gli operai degli stabilimenti, ditte appaltatrici ecc, ecc , frequentavano sia il rione, sia il bar Ninetto, tutt’ora esistente (il bar è tra via del Testaio e via delle Cateratte) è da qui che iniziò l’avventura della Nautica Torretta.

La realtà di una sezione nautica non era solamente allenamenti e palio , era come la realtà di oggi ,cioè trovare persone o simpatizzanti, che siano disponibili a finanziare il tutto, per rendere il lavoro più fluido. Gli fu consegnata un’imbarcazione, l’allestirono alla meglio e costruirono anche uno scivolo, per poterla tirare in secco. Il posto prescelto era in fondo a via de Pazzi, dove il fosso all’epoca girava per il canale delle industrie, all’epoca era chiamato piazzale dei renai, oggi interrato. In futuro, nei pressi, sorgerà la vera sezione nautica, completa di vasca d’allenamento, palestra, docce, fino agli anni ’90.

«Dopo ogni allenamento, nel modo più spartano possibile, la barca veniva tirata in secco, i vogatori venivano ospitati dalla vecchia ditta Marchi, produttori di concimi, distanziata di qualche centinaio di metri, per poter fare la doccia, quando rientravamo tardi la doccia veniva fatta a secchiate, io no, andavo a casa. La sezione nautica non disponeva di cantinieri veri e propri, perciò immaginate voi cosa poteva succedere; c’è chi si dava da fare rimboccandosi le maniche, c’è chi chiacchierava tanto e girava in folle, c’è chi discuteva perché quei lavori toccavano sempre a lui, insomma, c’era una varietà di soggetti da non crederci».

«Il mio compito era di pulire la barca e fare gli stropoli – mi confessa che la tiene sempre per ricordo la sfilazza – io l’ho vista – e mentre racconta, si guarda le dita mormorando – quante vesciche mi sono venute, pur di far vogare bene i miei ragazzi». «Insieme a Lido Bais, oltre ad essere un vogatore, rimane anch’esso una mitica figura di questo rione, che tutt’ora frequenta con assiduità, si sceglieva il colore e il disegno per improntarlo sulla barca, io andavo anche alle riunioni perché forse ero più preposto, insomma, in definitiva, era un compito che mi piaceva».

«Come quasi tutti i personaggi dell’epoca, anch’io ho un soprannome “Garofano“, me lo attribuì il mio cognato. Garofano significava per loro un fiore elegante e figuroso, perciò vedendomi con i modi precisi e gentili (a quell’epoca specialmente, in quei particolari rioni, tale comportamento era fuori luogo) mi è rimasto tutt’ora. Nel 1956 per me fu la svolta: iniziò quell’anno la carriera da timoniere e credetemi non era semplice, perché sulla piazza di personaggi ce ne erano eccome, qualche nome? Langella detto Ghighe, Brucioni detto Scirocchino, Carnevali, Biscottino Carlo, ecc ecc».

«Casarosa, all’epoca timoniere ufficiale del Torretta, venne scartato dalla visita medica, s’era vicini al Palio, mi viene proposta la sua sostituzione perché non trovarono nessun’altro, accettai. Montando in barca mi accorsi subito che qualcosa non andava, iniziai a fare delle piccole modifiche fino al giorno fatidico: pronosticai un incerto 3° posto massimo . Vinsi la mia batteria arrivando 4° in finale ordine d’arrivo 1° ovo sodo ,2° Origine 3° Avvalorati ,4° Torretta , 5°distaccatissimo S. Marco , 6° Sorgenti».

«Il 1957 fu affrontato con entusiasmo e voglia di vincere, ma purtroppo quando si biasima tanto una cosa, si finisce di ottenere l’opposto, difatti pochi giorni prima del Palio, il nostro 3° remo ebbe un malore, perciò dovemmo montare una riserva, non era allenata sufficientemente perché gli allenamenti duravano al massimo 70 giorni, il tempo non era sufficiente per preparare le riserve . Il nostro ordine d’arrivo ? 3° posto».

«1958, l’anno della vittoria. La gara fu molto entusiasmante,ci fu un bel testa a testa fino alla virata di boa, colpo su colpo, riuscimmo a prendere la testa della corsa e vincemmo (le foto sono testimoni). Il campo di regata era composto da un giro di boa, partenza ai bagni Pancaldi, virata nei pressi della Vegliaia, arrivo ai Pancaldi. Stimolati come eravamo, montammo Vittorio Tinucci, uomo meno forte ma tecnicamente e tenacemente ottimo , in questo sistema, arrivammo primi a dispetto di tanti concittadini rionali».

«Siamo al 1959, il Torretta affronta l’avventura insieme ai grandi e blasonati rioni, la nostra imbarcazione molto pesante era 6/ 700 Kg più delle altre. Noi la lasciammo come ce la consegnarono, perché non avevamo ne soldi ne persone competenti al lavoro del legno, la nostra imbarcazione aveva delle fiancate solide come una corazzata difatti, quando ci fu l’anno della mischiata, e cioè l’anno in cui i rioni blasonati presero l’imbarcazioni dei rioni minori, ed il Pontino (come al suo solito) fece annullare la Barontini, perché il suo gozzo spettava al Colline, (all’epoca i maestri d’ascia non mancavano, perciò l’imbarcazione pontinese risultava leggera come una canoa rispetto alle altre) la nostra imbarcazione toccò al Venezia. I vogatori di quest’ultimo rione gli dettero l’appellativo di “Zambombo” (il significato penso gli sia attribuito come barca del 3° mondo), nonostante ciò riuscii a salvare il gozzo, giungendo 5°».

«Anno 1961. Classificato da me l’anno della discordia ovvero la prima serie di corruzioni. Iniziò male la mattinata, quando alle eliminatorie a cronometro, e credetemi i cronometri l’avevamo tutti (anche se all’epoca ignoranza in materia c’era), il cronometro si conosceva tutti. Ricordo che il miglior tempo l’aveva ottenuto lo Shangay, noi avevamo il 3° tempo migliore, il Pontino fuori. Ma lì avvenne il fattaccio. Un errore cronometrico, a favore del Pontino, rimette in ballo il tutto, risultando in seguito l’incapacità di codesto rione di affrontare il Palio nel pomeriggio. E cosi’ fu, nel pomeriggio ci fu un vero disastro. Ci fu un abbordaggio risolto con botte e cazzotti da orbi, il Palio fu annullato per invasione di campo anti sportivamente, da parte dei rionali giallo rosso ,a noi non ci restò che il 6° post. Alla fine della gara, ebbi un diverbio, molto accanito, con il 4° remo pontinese, non ricordo il nome ma il soprannome di “scaracchio” (dal soprannome mi sembra tutto un programma)».

«Comunque quell’anno, dopo i fatti, ritenuti da me osceni e scellerati, per rispetto a quei rioni minori e dopo svariate riunioni nelle sale dei portuali, ci furono dei piccoli, ma non risolutivi, chiarimenti con Persico e Francesco Calderini. Quest’ultimo mi creò meraviglia quando dava ragione per forza maggiore al Pontino, forse per cause politiche. Fatto sta che lui nato, con residenza e impiego in via del Lavoro, angolo con via del Testaio, poteva essere oltre ad un concittadino rionale, un valente portavoce . Invece fu l’opposto, confermandolo poi nel tempo, giustificandosi nel dire che c’erano persone più potenti e la decisione doveva essere quella (il pontino era un vincente nell’anno prima perciò non poteva uscire). Era come la Juventus di oggi».

«Nel 1962 con il palio fermo i nostri vogatori, e precisamente sei, alimentarono il serbatoio dell’Unione Canottieri Livornesi, ricordo solamente Mancini e Rolla. Nel frattempo io cambiai casa, tornai sul Viale G .Carducci, la mia vita lavorativa aveva una svolta così, per migliorarla, decisi di andare a scuola per poter prendere il diploma di perito meccanico. Nel 1966 fui richiamato dal rione perché mancava il timoniere, indugiai, ma poi la passione era tanta, perciò ai dirigenti proposi 2 cose: se mi diplomavo, dato che ero vicino agli esami di stato, avrei avuto anche il tempo per gli allenamenti e per le gare, altrimenti se venivo respinto, no».

«Quell’anno montai in barca e dopo qualche prova detti la mia modesta sentenza: con questo equipaggio, al massimo, potremmo arrivare secondi; fu così. Nel 1967 ci riprovammo, si vinse. L’equipaggio era così formato : 1° remo Brondi, 2° Norge che proveniva dal rione Venezia ed all’epoca aveva 16 anni, 3° lo chiamavamo il pompiere (perché non ricordo il nome) 4° remo Taddei detto ciondolino. Il Brondi montò al posto di un blasonato canottiere, che ora mi sfugge il nome, poche settimane prima del palio».

Dalla cronaca de “La Nazione” di Livorno del 28 Agosto 1967 articolo di Vezio Benetti: “Sette imbarcazioni alla partenza, VIA! La Stazione, il S.Jacopo, il Salviano e l’Antignano fanno un ottima partenza, il Fiorentina Corea si è portato davanti al Torretta. Quest’ultimo, dopo la virata di boa, si è portato decisamente sotto, con un colpo assestato ed elastico. Stazione, Salviano e Antignano crollano sotto i colpi incandescenti dei giallo neri, passano anche il Fiorentina, il S. Jacopo non fa più storia, mentre ha una ripresa l’Antignano. L’ordine d’arrivo ufficiale sarà: 1° Torretta con il tempo di 12′ 47”, 2° Fiorentina Corea con 12′ 58”,3° Antignano con 13’04”, 4° Stazione con 13’075”,5° San Jacopo con 13’13” ,6° Salviano con 13’34” “.

«Quello fu l’ultimo palio vinto. Nel frattempo decidemmo di improntare una cantina nuova così insieme al Bais tracciammo quella, che fino agli anni ’90, rimase insieme allo Shangay. Io ho proseguito facendo il palio nel 10 del Salviano, ricordo avevo come capovoga Gigi Suardi, ho proseguito nello Shangay, e nella Stazione dove, al 4°remo avevo mio figlio Riccardo. L’anno in cui feci il palio nello scolmatore ero al timone della Stazione, arrivammo 2°, primo il S. Jacopo. Quell’anno, oltre a mio figlio, avevo l’olimpionico Fabrizio Biondi».

«In questo momento, ogni volta che ripenso a questa regata, mi soffermo e penso: “se avessi avuto più tempo la barca l’avrei impostata diversamente e chissà se avrei vinto, perché forse mettendo meno peso a prora, chissà?” Poi all’epoca ci furono i pisani che ci prestarono le barche, la metà erano in rifacimento. Fu la mia ultima gara e l’abbandono totale al mondo del remo».

Sgherri esce in sordina dal mondo del palio come era entrato.
Domanda: «Come mai conoscono più Cocchino (Di Cocco) che te?»
Risposta: «Cocchino viene ricordato perché era una figura particolare, prendeva tutto alla leggera con burla, poi essendo parente del Calderini, era più a contatto sia nel mondo remiero sia l’altro».

D: «Che differenza c’era a timonare un 4 e un 10?»
R: «All’epoca essendo barche pesanti e se la forza era equilibrata, il timone serviva solamente per virare in boa, si correggeva la direzione nel frattempo che i remi erano nella fase centrale d’attacco cioè alzati. Nel 10 il timone lo toccavo subito dopo il finale. Il 4 essendo una barca più agile, al giro di boa il capovoga fermava il remo, facendo da fulcro in mare, per avere più rapidità nel girare ed essere pronto, con meno vogate, per aggredire la boa, per poi uscirne con più rapidità ed elasticità, perché le forze non le avevi spese prima».

D: «Raccontami una curiosità che ti è capitato negli altri rioni ?
R: «Ricordo nella mia carriera da timoniere nel Salviano, fu il primo anno ad avere un’addizione di 70 Kg di piombo di zavorra sull’imbarcazione. Arrivammo 5°».

D: «Cosa ci vorrebbe per dare vita al Palio?»
R: «Togliere tanta gente che straparla per esser sempre al centro dell’attenzione senza fare concreti fatti . Nel 2008 mi sono riavvicinato alla terrazza per assistere al palio, ma non mi diverto più, forse i ricordi della terrazza di quando c’ero io mi attanagliano la mente, lasciandomela piena di ricordi, e vedendola oggi mi lasciano demoralizzato».

D: «Cosa ne pensi delle donne al Palio?»
R: «No! Non è uno sport per loro, anche se oggi ci sono barche differenti, perciò “vogabilissime”, ci sono le pari opportunità, ma senza togliere nulla, non vedo questo sport adatto a loro».

D: «Tornerebbe ai rioni?»
R: «No, i tempi sono cambiati, prima esisteva, dopo gli allenamenti, il ritrovo al bar, si vegliava parlando su tutti gli argomenti inerenti, era un passatempo perché non c’era altro. Il Palio apparteneva al rione, io ho passato un anno intero per convincere dei vogatori, ho trascurato la famiglia, ed infine i protagonisti vivevano 70 giorni da prime donne. Oggi dopo l’allenamento tabellare, cioè quello lo fa la mattina, uno il pomeriggio, ecc., problemi di lavoro, il vogatore non può essere attaccato sentimentalmente al rione».

D: «Ridurrebbe il numero dei partecipanti?»
R: «Non so».

D: «Chi dettava legge all’epoca?»
R: «La legge l’imponeva il rione più forte, all’epoca esistevano più rioni: Venezia , Borgo , Ardenza. Il primo, erano quasi tutti portuali perciò erano anche gli organizzatori potenziali, il secondo era un rione blasonato dall’anteguerra, il terzo comandavano i Sonetti e company insieme all’Accademia Navale. Essi si permisero di far montare di nascosto al largo dei vogatori sostituendoli con altri con l’ausilio dell’imbarcazione militare (i sonetti erano dell’accademia ). Infine approdò il Pontino con Persico chiudendo la cerchia. Poi il resto, chi non è a digiuno lo sa».

L’intervista finisce dicendomi che tutto è verità sacrosanta e chi fosse intenzionato a dire l’opposto è pregato di interpellarmi per poterlo smentire.

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